Chi sono i Serial Killer? La prima volta che venne usato un termine per definire una serie di omicidi commessi da una sola persona fu nel 1957 quando si parlò di “chain killer” ovvero catena di omicidi. Solo nel 1970 venne coniato dall’Agente speciale del Federal Bureau of Investigation (F.B.I.) Robert Ressler il termine “Serial Killer”. Secondo l’F.B.I. l’assassino seriale è un soggetto che uccide due o più vittime in luoghi diversi e con un periodo di intervallo emotivo, di raffreddamento emozionale (cd. cooling off period) tra un omicidio e l’altro.
Tra i Serial Killer più famosi della storia troviamo Liu Pengli (144-121 A.C.), Alice Kyteler (1324), Elizabeth Bathory (1585-1561), Jack lo Squartatore (1888); ma nella nostra Partenope ci sono mai stati crimini seriali?
Siccome la natura del napoletano è sentimentale, emotiva, compassionevole, la domanda fa sorridere poiché non c’è niente dello psicopatico sadico nell’indole del napoletano medio soprattutto se si pensa alla nostra cultura, una cultura dell’accoglienza e della condivisione, e del dare aiuto all’altro. Eppure negli anni ottanta la città partenopea venne sconvolta da due cruenti delitti. Due omicidi efferatissimi e altrettanti stupri costituirono la carta d’identità di Andrea Rea, per tutti il “Mostro di Posillipo“. Proprio qui, infatti, è nato e si è anche laureato in Filosofia, per giunta col massimo dei voti. La morte del fratello Antonio, avvenuta nel 1982, sconvolse per sempre la sua vita e forse questo è il motivo scatenante della violenza di Andrea nei confronti delle donne.
Rea è un serial killer che compie delitti a sfondo sessuale: violenta, uccide e poi smembra i corpi delle povere vittime. Nel 1983, Andrea viene arrestato per violenza sessuale nei confronti di una giovane turista finlandese a Ischia. La famiglia lo interna in una casa di cura. E’ la goccia che fa traboccare il vaso, perché è proprio tra le mura della sua nuova sistemazione che il “Mostro di Posillipo” conosce quella che sarà la sua prima vittima, Anna Bisanti, napoletana di 27 anni, figlia di 2 anziani pensionati. Il giorno di Natale del 1983, Rea convince la ragazza a salire sulla sua auto, quindi la uccide con un coltello, la chiude in un sacco e la butta in mare. Sarà lui stesso a confessare l’omicidio, visto che il corpo non verrà mai ritrovato.
Nel 1987 è libero di violentare una sua amica, mentre il 3 settembre 1989, compie il suo delitto più efferato, ai danni di Silvana Antinozzi, tossicodipendente 38enne separata dal marito e con una figlia di 17 anni. Impiegata al comune di Napoli, la donna era stata recentemente sospesa per assenteismo. Rea l’aveva conosciuta in una clinica, dove la donna era in cura per disintossicarsi dalla droga.
Dopo essersi diretto alla casa della donna, Silvana Antinozzi viene violentata, legata e uccisa letteralmente a morsi (sul collo) e poi finita con un coltello da prosciutto. Andrea Rea sistemerà i resti del suo corpo in una valigia, trasportandolo sul proprio motorino fino alla spiaggia di Marechiaro, dove lo abbandonerà. Fu una bambina a ritrovare il cadavere. Durante le indagini iniziali si era pensato che l’omicidio potesse essere legato alla criminalità organizzata, il giorno in cui fu trovata la valigia, si stava svolgendo il pranzo per la comunione delle due figlie del boss di Secondigliano. Ma quando la vittima fu identificata si comprese subito che non aveva nulla a che vedere con il mondo camorristico e si cominciò a comprendere che potesse aver conosciuto il suo assassino nella casa di cura Villa Anna, dove era stata ricoverata per disintossicarsi dalla dipendenza da eroina. A casa della vittima Rea aveva lasciato oltretutto molti indizi, tra cui: il coltello da prosciutto, varie impronte digitali, un diario, il suo orologio sporco di sangue e una sorta di “lista nera” con i nomi di potenziali prossime vittime.
Dopo il delitto, Andrea scappò all’estero, riuscendo a raggiungere Nizza in treno, ma la sua fuga durerà fortunatamente solo 48 ore, grazie alla gendarmeria francese, che si accorse del suo stato confusionale. Sarà poi la sua stessa famiglia a convincerlo a costituirsi. Rea in 13 ore confessò il brutale omicidio di Silvana, dicendo “L’ho uccisa, lei voleva uccidere mio padre“, poi raccontò di voler liberare il mondo dalle donne. Durante l’interrogatorio fu subito evidente la sua schizofrenia.
Andrea Rea, è un serial killer anomalo, in quanto schizofrenico e non psicopatico. Agisce d’impulso, è folle e disorganizzato. Non ha nulla della freddezza calcolatrice e manipolatrice dello psicopatico, Rea è tuttavia pericoloso. Incapace di intendere e di volere, viene riconosciuto schizofrenico e paranoico e fatto internare in un manicomio giudiziario ad Aversa: la condanna consiste di 10 anni per l’omicidio della Antinozzi e 5 anni per quello della Bisanti. La storia di Andrea Rea è una storia anomala, insolita per Napoli, una realtà che non ci appartiene e che ci ha lasciato forse incapaci ed impreparati a gestire il problema.