Il termine Serial Killer ed il metodo di profilazione dell’FBI

da | Giu 13, 2020 | Crime Stories

Il termine Serial Killer iniziò a comparire durante gli anni ‘70, quando i due agenti dell’FBI, Robert Ressler e John Douglas, studiarono questa categoria per distinguere il comportamento dell’omicida seriale da quello degli spree killer: soggetti che compiono omicidi violenti e che, spesso, si concludono con il suicidio dello stesso.

Ma chi sono questi Serial Killer?

Come indica il termine stesso, il Serial Killer commette omicidi in “serie”, ossia in archi di tempo differenti. Queste pause tra un omicidio e l’altro vengono definite “cooling of time” e denotano un aspetto davvero particolare del killer. Si tratta di soggetti che solitamente conducono una vita normale e, molto spesso, hanno famiglia, figli ed un lavoro. Questo lasso di tempo non ha quasi mai una durata prestabilita, possono passare solo alcune ore tra un omicidio e l’altro, oppure giorni, mesi o addirittura anni. Studiare questo tipo di soggetto non è stato affatto semplice, ma durante gli anni sono state stilate una serie di classificazioni utili a distinguere tale figura da tutti gli altri “offender”. Robert Ressler fu uno tra più illustri Criminal Profiler statunitensi ad aver analizzato e coniato il termine Serial Killer, inoltre, riuscì a delinearne le caratteristiche distinguendolo da tutte le altre categorie di offender. Non a caso, la definizione ufficiale fornita dall’FBI nel “Crime Classification Manual” del 1992, fu proprio:
“L’omicida seriale è colui che commette tre o più omicidi, in tre o più località distinte, intervallate da un periodo di raffreddamento emozionale”.
L’aspetto decisamente più importante, resa da questa definizione, non fu tanto per la pluralità degli omicidi, in quanto anche altre categorie di criminali, come i mass murderer o gli spree killer, commettono omicidi plurimi, ma la caratteristica del “raffreddamento”. Essa rappresentava un elemento del tutto singolare e, questo, permise agli agenti di distinguere i Serial Killer da tutti gli altri soggetti violenti. Come ha ben chiarito la Criminologa Roberta Bruzzone:
“Essenzialmente quando parliamo di assassino seriale ci riferiamo ad un soggetto che ha ucciso una volta e che con ogni probabilità ucciderà ancora, se si ripresenterà l’occasione. Non possiamo stabilire con assoluta precisione quante vittime arriverà ad uccidere o quanto durerà il periodo di “pausa” tra un omicidio e l’altro. Sappiamo solo che uccide ripetutamente ad intervalli di tempo variabili e la cui coazione a ripetere sembra non potersi fermare in maniera “spontanea”. I serial killer non uccidono ogni notte di luna piena, essi uccidono quando avvertono il bisogno di sperimentare la sensazione inebriante che solo il completo controllo e potere sulla vita di un’altra persona è in grado di fornirgli. Come e quando arrivano a tale punto sembra essere il frutto di un percorso del tutto soggettivo. La vittima è in genere una persona sconosciuta o di cui l’omicida ha una conoscenza solo superficiale che si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato”.
Ecco un profilo che negli anni ha subito un’eterna mutazione: si passò dal numero degli omicidi alla classificazione per “omicidio a sfondo sessuale”, per arrivare poi ad affermare che, questo soggetto, agiva seguendo degli impulsi che avevano come unico scopo l’ottenimento del dominio totale sulla preda. Solitamente l’assassinio seriale è un pluriomicida di natura compulsiva, mentalmente disturbato, inoltre le sue vittime hanno spesso degli elementi in comune: sesso, età, professione. Il suo modus operandi, ossia la modalità con cui viene compiuto un certo delitto, evolve da omicidio ad omicidio e la natura compulsiva della sua azione, sovente, è priva di movente. Numerose ricerche scientifiche hanno riscontrato, nel serial killer, una totale assenza di movente plausibile che potesse in qualche modo “spiegare” i suoi terribili omicidi. Il Serial Killer sembra cibarsi di “fantasie” che solitamente tendono a mostrarsi durante l’età adolescenziale, per poi tramutarsi in una vera e propria ossessione. L’assassino mette in scena una sua fantasia ed il suo schema mentale lo porterà a mettere in atto le atrocità che, fino a quel momento, viaggiavano solo nella sua testa. Una volta commesso il primo crimine, l’immaginazione cresce e si evolve, trasformandosi in una vera e propria ossessione, resistergli diventa quasi impossibile! Ecco perché i criminologi affermano che, con ogni probabilità, l’offender cercherà una nuova preda. La “firma” dell’omicida sarà, molto spesso, l’unica chiave capace di condurre i profiler a collegare il killer ai vari omicidi. Il comportamento deviante sembra essere alla base di questa evoluzione in Omicida Seriale, un soggetto che ha lasciato alle spalle un’infanzia contraddistinta da numerosi maltrattamenti, abusi, droghe e sfruttamento. Nessuno nasce “cattivo”, questa è l’unica certezza, ma le esperienze negative subite durante l’infanzia o la fase adolescenziale sicuramente compromettono lo sviluppo dell’individuo, che inizia a chiudersi in se stesso. Psicologi e criminologi sono concordi nell’affermare che il comportamento deviante può trovare le proprie radici nella famiglia di origine o quella in cui si è cresciuti. Il fenomeno del Serial Killer si è evoluto soprattutto negli Stati Uniti: da Ted Bundy al Figlio di Sam, Da Charles Manson a CandyMan. La diffusione di questi episodi criminali hanno portato gli agenti dell’FBI a divenire i primi a studiarne le caratteristiche, ma anche in Italia non sono mancati i Serial Killer: Michele Profeta(il Killer di Padova), Donato Bilancia (il mostro della liguria), Leonarda Cianciulli( uccise 3 donne, trasformando i cadaveri in sapone). Insomma, questa categoria di offender è diffusa, ma non è l’unica che richiede uno studio accurato da parte degli esperti. Dalla psicologia alla criminologia, cercare di studiare questo tipo di individuo è fondamentale per limitare al minimo il numero delle vittime. Alla domanda: “Come hanno fatto queste persone a diventare dei Killer?”, non possiamo dare una risposta certa. Sicuramente i fattori scatenanti sono molti: dalla cultura alla famiglia, dalla religione alle relazioni; tutto quello che provoca un mutamento all’interno dell’individuo può innescare questo fenomeno. Ovviamente ad ognuno di noi sarà capitato di affrontare delle delusioni, sia in campo lavorativo o sentimentale e familiare, eppure, vi sono degli individui a cui dei traumi violenti o delle semplici delusioni, hanno compromesso totalmente il proprio benessere psico-fisico e mentale. Come disse il Dott. Robert Simon, psichiatra forense e professore presso la Georgetown University School di Washington:
“Il male è dentro ognuno di noi: la differenza fondamentale è che i buoni si accontentano di fantasticare le cose che i cattivi fanno davvero”.

Silvia Morreale