Grazie allo sviluppo tecnologico e scientifico, dagli anni 2000, il DNA è diventato un elemento, o fonte di prova, molto importante in ambito forense. Le nuove metodologie di analisi genetica, infatti, permettono un’analisi del DNA estremamente specifica la cui caratteristica principale è il potere di discriminazione tra i vari soggetti.
Grazie a specifici markers, detti Short Tandem Repeats (STR), una serie di piccole sequenze genetiche ripetute in tandem in diversi punto del genoma degli esseri umani, è possibile stilare un genotipo altamente specifico, in grado di portare a discriminare in modo oggettivamente valido tra diversi soggetti.
Grazie alla scoperta di tecnologie quali la PCR e l’analisi dei microsatelliti del DNA, lo sviluppo di particolari kit di estrazione ed amplificazione, ad oggi si è in grado di ricavare un profilo genetico completo già da poche cellule (anche da una decina, per capirci).
Il DNA, ad oggi, è lo strumento di identificazione personale più raffinato per l’applicazione in ambito forense; è quotidianamente utilizzato come elemento scientifico per la risoluzione di casi di omicidio, stupro, rapine, furti e stalking. E’ impiegabile per riaprire i cd. “cold case”.
E’ bene, tuttavia, evidenziare che l’identificazione di una traccia biologica non deve mai essere confusa o interpretata come “colpevolezza” da parte del soggetto che ha rilasciato la traccia analizzata dal laboratorio.
In ambito forense, se da un lato il DNA è dirimente in materia di identificazione personale, dall’altro nulla può, la sola genetica forense, dire in materia di “come e quando” la traccia genetica analizzata è finita ove repertata. Ciò, in ambito processuale, specialmente in dibattimento, è di fondamentale importanza. Infatti i giudici, per la opportuna formazione del proprio libero convincimento, devono non solo controllare, tramite periti e consulenti, la bontà di acquisizione ed analisi della traccia genetica su cui si dibatte, ma anche e soprattutto chiedere agli esperti di valutare e stimare il “rapporto di contestualità” tra la traccia biologica e il fatto reato per il quale è stato istruito il processo.
Ad oggi, diverse sentenze della Cassazione hanno stabilito, in materia di prova genetica, che solo risultanze scientifiche che provengono da una dimostrabile e rigida applicazione dei protocolli possono trovare ingresso nel materiale di cui il giudice tiene conto per la valutazione, mentre le risultanze che provengono da violazioni – totali o parziali – dei protocolli scientifici di settore, non possono considerarsi neanche di valore indiziario; in pratica, vanno “cestinate”.
Inoltre, la giurisprudenza attuale è sprovvista di un metodo per la corretta acquisizione, da parte del giudice, delle risultanze genetiche provenienti da una buona applicazione dei protocolli; infatti, come si è enunciato in precedenza, identificazione tramite il DNA non deve mai confondersi o associarsi con “colpevolezza” di Tizio, identificato con il DNA, spesso e volentieri imputato nel procedimento penale.
Per colmare tale lacuna, nel 2017 è stata pubblicata su rivista scientifica internazionale la teoria della “Criminologia Dinamica”, coscritta dal giudice Gennaro Francione e dallo scrivente Eugenio D’Orio. Questa teoria elenca una serie di requisiti, oggettivi e scientifici, di cui i giudici devono tener conto per correttamente valutare l’informazione genetica portata a dibattimento. Detta teoria prevede che, oltre al dibattimento sull’affidabilità del DNA quale mezzo identificativo, si deve necessariamente interrogare il perito sull’esistenza e la stima del rapporto di contestualità tra la/e traccia/ biologica/e trovata/e ed il fatto reato. La valutazione di stima può esser esperita tramite il dispositivo di cui all’art. 218 c.p.p., sugli esperimenti giudiziari, ed anche tramite l’uso di specifici software, il cui compito è riprodurre virtualmente il fatto reato avvenuto sulla base delle tracce biologiche. Tramite detto software sarà possibile una stima probabilistica della contestualità tra traccia biologica e fatto reato. Su questa valutazione i giudici potranno procedere alla formazione del proprio convincimento secondo standard molto più rigorosi, i quali sono oggettivi e riproducibili, ed evitano qualsivoglia over-stima o sotto-stima del DNA in ambito forense.
Le attività di ricerca in biologia forense, seppur poco finanziate dal Ministero competente, procedono sia nelle sedi universitarie sia presso il Bio Forensics Research Center, presso cui sono in atto diversi progetti di ricerca, che coinvolgono anche studenti per le loro tesi sperimentali, in materia di studi del fenomeno del “DNA touching” e sullo sviluppo e la validazione di nuove tecnologie-protocolli per l’identificazione di tracce biologiche latenti (minime, spesso invisibili), che il più delle volte vengono “perse” dagli investigatori proprio per la loro estrema esiguità.
Dott. Eugenio D’Orio
Eugenio D’Orio è Perito dell’Autorità Giudiziaria dal 2016, con specializzazione in genetica forense. Dal 2016 è anche docente del corso di Perfezionamento “Diagnostica e Genetica Forense” offerto dall’Università di Napoli “Federico II”. E’ stato ricercatore dell’Università di Copenhagen, sezione di genetica forense- Crime Unit. Dal 2019 presiede l’associazione dei Biologi Forensi Italiani – UniBioFor. Dal 2020 dirige il Bio Forensics Research Center. Tra i maggiori incarichi di consulenza svolti, si annoverano casi di rilevanza nazionale quali la “Strage di Erba” e “l’omicidio di Elena Ceste”.