I paesi anglosassoni, da sempre ‘social innovators’, verso la fine degli anni ’70 hanno portato al centro del dibattito pubblico il concetto di ‘effective policing’. Quest’ultimo si rimanda al delicato equilibrio posto fra un approccio convenzionale, più tipicamente repressivo, ed uno moderno, più evidentemente preventivo. Entrambi presentano dei punti di forza e di debolezza:
- Il primo, pur presupponendo l’oramai avvenuto reato, è un approccio che permette alle autorità per la pubblica sicurezza d’intervenire efficacemente sul ‘bersaglio’ della repressione, riducendo al minimo dispersioni di tempo ed energie;
- Il secondo, occupandosi di prevenzione primaria, è un approccio che mette le autorità per la pubblica sicurezza nell’obbligo di applicare un metodo analitico più avanzato, rivolto alla comprensione delle ragioni/cause che sottendono un dato fenomeno criminale e su quelle agire preventivamente.
La repressione e la prevenzione sono quindi due facce della stessa medaglia, impossibili da scindere o da contrapporre. Infatti non si potrebbe fare prevenzione senza una preesistente repressione che ha permesso di capire ‘cosa ha funzionato e cosa no’. È proprio grazie a questa presa di coscienza che il paradosso comincia a sciogliersi, aprendo scenari nuovi nel campo della sicurezza urbana partecipata.
Le Forze dell’Ordine sono chiamate ad interagire con un contesto sempre più mutevole, multi-sfaccettato e, criminalmente parlando, aggressivo. Da qui la necessità di un approccio più scientifico, sulla falsa riga delle LEAs (Law Enforcement Agencies) dove la collaborazione con Università, Centri di Ricerca e Aziende Innovative sono all’ordine del giorno.
Perché? Perché, come disse Spencer Chainey – Professore Associato in Security and Crime Science presso il Jill Dando Institute of Crime Science ( https://www.ucl.ac.uk/jill-dando-institute/ ) – “non può esistere sicurezza senza comprensione, e la comprensione è prodotta dallo studio e dalla ricerca”.
Da qui la nascita della ricerca applicata alla prevenzione del crimine che, per il carattere innovativo e per la metodologia utilizzata, può essere chiamata scienza della criminalità (crime science).
Questa è caratterizzata da:
- Concretezza: vuole prevenire la commissione dei reati e quindi ridurre il numero delle possibili vittime ed il danno da loro subito;
- Scientificità: adotta gli stessi standard metodologici propri delle hard science (definizione del problema, identificazione delle ipotesi, verifica delle stesse, conclusioni);
- Multidisciplinarietà: include ogni possibile conoscenza/disciplina che possa essere utile per contrastare la criminalità.
Un passaggio radicale nel mondo della sicurezza, arrivando finalmente a dare dignità ad una disciplina molto spesso bistrattata per la sua natura ‘thrilling’, la quale invece cela enormi potenzialità scientifico-applicative.
Giacomo Salvanelli
Psicologo Forense e Criminologo formatosi accademicamente e professionalmente in UK. A seguito del completamento di un doppio MSc prosegue la specializzazione in Crime Analysis, Crime Mapping e Geographical Information Systems (GIS) all’università di Oxford (UK), al centro di ‘Crime Science’ della University College of London (UCL) e alla IACA di New York (John JayInstitute of CriminalJustice). Membro della British Psychological Society (BPS), della European Association of Psychology and Law (EAPL), della International Association of Crime Analysts (IACA) e della SIMPSe. Socio Fondatore del MISAP (Multidisciplinary Institute for Security management and Antisociality Prevention) e Coordinatore del Progetto MINE CRIME (www.minecrime.it). Ha lavorato precedentemente come ricercatore presso il centro inter-universitario ‘Transcrime’ dell’Università Cattolica di Milano e l’Università di Portsmouth (UK)
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